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Serie A – “Mi hanno rinchiuso? Non mi sembra”

L’ex arbitro Paparesta ha deposto oggi al Tribunale di Napoli nell’ambito del processo a Calciopoli. Al centro del dibattimento, il famigerato episodio, ancora tutto da verificare, del dopo Reggina- Juventus, quando Moggi e Giraudo avrebbero chiuso nello spogliatoio l’arbitro e i suoi assistenti

IL GIORNO DI PAPARESTA – Al processo di Calciopoli, ripreso oggi davanti alla nona sezione del Tribunale di Napoli, è stata la giornata di Gianluca Paparesta, l’ex arbitro coinvolto in uno degli episodi più inquietanti, ma ancora tutto da verificare, dell’intera vicenda: il burrascoso dopo partita di Reggina-Juve, quando alcuni errori della terna arbitrale avrebbero provocato la furiosa reazione di Moggi e Giraudo, che sarebbero arrivati a chiudere a chiave nello spogliatoio lo stesso Paparesta e i suoi assistenti.
QUEL MISTERO CHIUSO IN UNO SPOGLIATOIO – Una circostanza che oggi Paparesta ha negato davanti al Pm Giuseppe Narducci, anche se con parole non particolarmente convinte: “Non ho avuto la percezione che (Moggi) chiudesse la porta”. Il pm a tale proposito gli ha contestato alcune difformità rispetto a quanto dichiarato in istruttoria, quando l’arbitro barese riferì le parole pronunciate da uno dei suoi assistenti: “Ma che, hanno chiuso la porta?”. Paparesta è apparso un po’ in difficoltà anche quando Narducci gli ha chiesto come mai non avesse giudicato opportuno inserire nel referto arbitrale le veementi proteste di dirigenti juventini. Ammttendo di aver sbagliato, ha solo detto che Moggi e Giraudo protestarono, “ma senza eccedere in parolacce”, e che “per non accentuare le tensioni ritenni di non dover segnalare”.
TELEFONINI BOLLENTI – Altro tema molto scottante è quello delle schede telefoniche estere, utilizzate dalla presunta cupola per comunicare con la propria rete di contatti: i telefonini, ha confermato il testimone, furono consegnati da Moggi al padre dello stesso Paparesta, Romeo. Sarebbe stato proprio Romeo, su suggerimento del presidente dell’Aia Tullio Lanese, a consigliare al figlio di intrattenere buoni rapporti con Moggi, per realizzare la sua aspirazione a una carica nel mondo arbitrale. Sempre il padre lo invitò, all’indomani della partita di Reggio Calabria, a chiarirsi con Moggi utilizzando proprio il telefonino fornito dal dirigente bianconero. Insomma, anche lasciando stare la storia dello spogliatoio chiuso a chive, di elementi quanto meno oscuri sembrano essercene a sufficienza.
LA DEPOSIZIONE DI ALIBERTI – Nell’aula del Tribunale di Napoli è passato quest’oggi anche Aniello Aliberti, ex presidente della Salernitana. Il primo ha raccontato la sua versione del pre-partita di Salernitana-Messina, match del campionato di Serie B 2003-2004, quando il direttore sportivo della squadra siciliana Mariano Fabiani (uno dei “delfini” di Moggi) sotto il tunnel dello stadio Arechi “mi avvicinò proponendomi 300 milioni di lire per far vincere il Messina”. Offerta cui Aliberti non diede alcun credito, e che a suo giudizio serviva solo a “coprire eventuali favoritismi da parte dell’arbitro”. E in quella partita, a detta dell’ex presidente campano, “l’arbitro di certo non ci favorì… anche se i miei sospetti non sono suffragati da prove”.
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Calciopoli, Carraro assolto per mancanza di prove
Stessa decisione per l’ex segretario Figc Antonio Ghirelli
ROMA, 17 giugno – Le prove raccolte – dai pm nell’ambito dell’inchiesta napoletana su “Calciopoli” – nei confronti dell’ex presidente della Figc Franco Carraro e del segretario generale della Figc Antonio Ghirelli non erano sufficienti per sostenere l’accusa di frode sportiva in dibattimento. Lo spiega la Cassazione – nella sentenza 25126 depositata oggi e relativa all’udienza svoltasi lo scorso 28 maggio – che ha confermato la decisione con la quale il gup di Napoli, il 3 ottobre 2008, ha archiviato la richiesta di rinvio a giudizio per Carraro e Ghirelli.

LA SENTENZA – «Con riferimento alla posizione di Carraro – ha scritto la Cassazione – le risultanze delle intercettazioni telefoniche e gli altri elementi indicati dal pm a sostegno delle accuse di frode sportiva sono state inquadrate dalla sentenza (di proscioglimento) in un contesto di altre risultanze o elementi di valutazione che elidono, sminuiscono o contraddicono logicamente il valore indiziario attribuito ai primi, sicchè il giudizio prognostico in ordine alla inidoneità di tali risultanze delle indagini per sostenere l’accusa in dibattimento risulta fondato su un apparato argomentativo congruo e del tutto immune da vizi logici».

ELEMENTI FONDAMENTALI – Tra gli elementi che hanno pesato a favore della decisione di prosciogliere Carraro, la Cassazione ha ricordato: «I reiterati errori arbitrarli in danno della Lazio; l’effettivo valore delle espressioni adoperate in conversazioni telefoniche in correlazione con altre ritenute significative; l’insussitenza dell’interesse personale indicato quale possibile causale della frode sportiva in favore del Lotito; il potere di controllo del presidente della Figc sulla regolarità delle attività arbitrali». Anche le prove raccolte su Ghirelli erano «inidoee» ad affrontare il dibattimento.

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